martedì 22 marzo 2011

Nan Madol parte 4




Il viaggiatore-scrittore inglese, Oliver Sacks ha visitato l'isola di Pohnpei e le rovine di Nan Madol abbastanza recentemente e ce ne ha lasciato un’interessante descrizione.
Oliver Sacks da tempo risiede a New York dove ha uno studio neurologico, ed è divenuto famoso per i suoi libri che parlano delle storie cliniche e umane dei suoi pazienti. Fu da uno di essi, Awakenings (Risvegli), che fu tratto il film interpretato da Robin Williams e Robert De Niro. Il suo interessante viaggio alle Isole Caroline, a Guam e in altri luoghi dell'Oceano Pacifico è descritto nel libro L'isola dei senza colore (titolo originale: The Island of the Colorblind and Cycad Island. Vediamone alcuni stralci:
“Negli anni Trenta del secolo scorso, quando Darwin viaggiava sul brigantino Beagle, esplorando le Galapagos e Tahiti, e il giovane Melville sognava i suoi futuri viaggi nei Mari del Sud, James O'Connell, un marinaio irlandese, fu abbandonato su Pohnpei, un'isola vulcanica dai rilievi imponenti. Le circostanze dell'arrivo di O' Connell sono poco chiare: nelle sue memorie egli dichiarò di aver fatto naufragio con il John Bull nei pressi di Pleasant Island fino a Pohnpei, raggiungendola in soli quattro giorni. Una volta arrivati, scriveva O'Connell, lui e i suoi compagni venero attaccati dai "cannibali" e poco mancò che fossero serviti per pranzo; riuscirono però a distogliere i nativi dai loro propositi (quanto meno così credevano) con una travolgente giga irlandese. Ma le avventure di O'Connell non erano finite; fu sottoposto a un tatuaggio rituale da una giovane pohnpeiana, che risultò figlia di un capo; poi la sposò, e divenne capo egli stesso.
Quali che siano le esagerazioni di O'Connell (i marinai hanno la tendenza a raccontare storie, e alcuni studiosi lo considerano un mitomane), egli era comunque anche un osservatore attento e curioso. Egli fu il primo europeo a chiamare Pohnpei o Ponape con il nome indigeno (nella sua grafia, Bonabee); il primo a dare accurate descrizioni di molti riti e costumi pohnpeiani; il primo a redigere un glossario della lingua locale; infine, il primo ad aver visto le rovine di Nan Madol: i resti di una monumentale cultura risalente a duemila anni fa, ossi al mitologico keilahn aio ("l'altro lato di ieri"). L'esplorazione di Nan Madol fu il momento culminante dell'avventura pohnpeiana di O'Connell, egli descrisse le "stupende rovine" con minuziosa attenzione, fino al loro misterioso abbandono e al loro tramutarsi in luogo tabù. La vastità delle rovine e il silenzio profondo in cui erano immerse lo spaventarono fino a che, sopraffatto dall'atmosfera aliena che vi regnava, fu assalito dall'ardente «desiderio di tornare a casa». Egli non fece riferimento (probabilmente perché non le conosceva) alle altre culture megalitiche sparse per la Micronesia: le gigantesche rovine basaltiche di Kosrae, i megaliti taga di Tinian, le antiche terrazze di Palau e i massi da cinque tonnellate di Babel-daop, che portano scolpiti volti simili a quelli dell'isola di Pasqua. O'Connell tuttavia colse quel che né Cook né Bougainville (e per la verità nessuno dei grandi esploratori) avevano compreso, cioè che queste isole oceaniche primitive, con le loro culture apparentemente semplici ("culture della palma") furono un tempo sede di civiltà monumentali.
Andammo a Nan Madol il primo giorno che passammo interamente a Pohnpei. Situata sul versante più lontano dell'isola, Nan Madol era raggiungibile più facilmente via mare. (…)
Su tutto il pianeta non c'è nulla che somiglia a Nan Madol, questa antica costruzione megalitica (oggi abbandonata) di circa un centinaio di isole artificiali, connesse da innumerevoli canali. Non appena ci avvicinammo - ora procedendo lentamente, perché l'acqua era bassa, e i passaggi navigabili stretti - cominciammo a vedere i particolari delle mura, le enormi colonne esagonali di basalto nero, combacianti le une con le altre così bene da avere resistito alle tempeste e al mare - agli insulti devastanti di venti secoli. Scivolammo silenziosamente fra le isolette e infine approdammo sull'isola fortezza di Nan Douwas, con la recinzione di basalto alta più di otto metri, la grande cripta centrale e gli angoli destinati alla meditazione e alla preghiera.
Pieni di curiosità, e anche indolenziti dal viaggio in barca, balzammo giù in fretta e ci fermammo sotto le mura gigantesche; stupiti, ci chiedevamo come i grandi blocchi prismatici - alcuni di certo pesavano molte tonnellate - fossero stati estratti e trasportati da Sokehs (che è dalla parte opposta di Pohnpei ed è il solo luogo nelle vicinanze da cui si estragga il basalto), e poi sistemati con tanta precisione. L'impressione di potenza e di solennità era fortissima - ci sentivamo deboli, schiacciati, sotto le mura silenziose. D'altra parte, percepivamo anche l'assurdità e la megalomania che sempre si accompagnano al monumentale (le «selvagge scelleratezze della magnanimità antica»), tutte le crudeltà e le sofferenze che l'accompagnano. Il barcaiolo ci aveva raccontato dei Saudeleur, signori dissoluti che conquistarono brutalmente Pohnpei e regnarono su Nan Madol per molti secoli, esigendo tributi sempre più estenuanti in cibo e lavoro. Viste in tale luce, le mura prendevano un aspetto diverso: sembravano trasudare il sangue e le lacrime di intere generazioni. E tuttavia, come le piramidi d'Egitto e il Colosseo, avevano una nobile solennità.
Nan Madol è ancora pressoché sconosciuta al mondo esterno, quasi come quando O'Connell vi capitò 160 anni fa. Alla fine del diciannovesimo secolo, essa venne studiata da alcuni archeologi tedeschi; ma solo negli ultimi anni, grazie alla datazione al radiocarbonio, che colloca gli insediamenti umani intorno al 200 a. C., si sono ottenute conoscenze più ampie e approfondire sul luogo e la sua storia. I pohnpeiani, naturalmente, hanno sempre saputo di Nan Madol - una conoscenza incastonata nel mito e nella tradizione; ma siccome quest'ultima è piena di leggende che narrano la morte prematura di chi offese gli spiriti del luogo, essi sono restii ad avvicinarsi a Nan Madol, che rimane avvolta nella sacralità e nel tabù.
Mentre Robin ci spiegava come si svolgeva un tempo la vita nella città intorno a noi, il luogo cominciò a respirare e animarsi. Là c'erano gli attracchi per le antiche canoe, diceva Robin indicando verso Pahnwi; quello è il masso dove le donne incinte andavano a strofinarsi il ventre per assicurarsi un parto facile; là (e indicava a l'isola di Idehd) si celebrava ogni anno un rito di espiazione culminante nell'offerta di una tartaruga a Nan Somwohl, la grande anguilla marina che faceva da tramite fra gli uomini e il loro dio. Là, sui Peikapw, c'era la magica pozza d'acqua nella quale i Saudeleur vedevano tutto ciò che accadeva a Pohnpei. E laggiù il grande eroe Isohkelekel, che infine aveva sbaragliato i Saudeleur, sconvolto nel vedere riflesso nell'acqua il proprio volto decrepito si annegò: una sorta di mito di Narciso capovolto.
In definitiva, è il suo aspetto vuoto, deserto, a rendere Nan Madol tanto misteriosa. Nessuno sa quando o perché fu abbandonata. Forse la burocrazia collassò sotto il proprio peso? Fu l'avvento di Isohkelekel a metter fine al vecchio ordine, oppure gli abitanti furono falcidiati dalle malattie, dalla peste, da un cambiamento climatico, o dalla fame? O forse il livello del mare crebbe inesorabilmente fino a inghiottire le isole più basse? (Molte di esse, oggi, sono sotto il livello del mare). Si avvertiva forse un'antica maledizione, una fuga superstiziosa e incontrollata delle antiche civiltà da questi luoghi? Quando O'Connell li visitò, 160 anni fa, erano già stati abbandonati da circa due secoli. Questo mistero - l'ascesa e la caduta delle culture, le imprevedibili svolte del destino - ci rese silenziosi e riflessivi, mentre facevamo ritorno a terra…”

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