giovedì 31 marzo 2011

Nan Madol parte 5



Ma allora cosa c'è a Nan Madol? O meglio cosa c'era?
La battaglia dell'establishment accademico che cerca di affermare l'impossbilità  di un contatto fra la vita terrestre e quella extraterrestre, è  una battaglia persa. Esiste infatti tutta una serie di indizi che suggeriscono come la Terra sia già stata visitata, in passato, da forme di vita aliene. Per cui, invece di blaterare, adducendo l'infallibilità della scienza umana, sulla impossibilità di un tale evento, si farebbe meglio a provare a spiegare, per fare un esempio, quale civiltà umana possa aver edificato il basamento del tempio di Baalbek, in Libano, squadrando e posando  blocchi di roccia enormi(e lo vedremo prossimamente), che neppure con tutta la moderna sofisticata tecnologia noi saremmo in grado di fare. Forse non era così lontano dal vero  Erich von Däniken quando sosteneva che non solo gli extraterrestri siano già stati qui varie volte ma anche che i loro discendenti siamo proprio noi. Magari non  la loro discendenza diretta, ma il frutto di una selezione e di una ibridazione da parete di piccoli gruppi di alieni, giunti sulla Terra in lontane epoche storiche o, meglio, preistoriche.
Nan Madol, dunque era un avamposto? Non lo sappiamo e formulare questa domanda ci porta a sorridere silenziosamente. 
Cosa era allora?


Oggigiorno non sappiamo se vi era qualche cosa di vero nelle teorie del colonnello Churchward; se cioè, Nan Madol fosse una delle tante vestigia del mitico continente scomparso di Mu, terra madre delle civiltà umane. Queloo che è certo è che il mistero di questo gigantesco complesso megalitico proteso tra la montagna e il mare, nel quale in parte si inabissa; e abbandonato, chissà in qualche epoca, in una maniera tanto repentina quanto definitiva, in questo ricorda molto la fabbrica dei Moai dell’Isola di Pasqua, pardon Rapa Nui. Altri siti archeologici anomali - come il "muro" di Bimini nelle Bahamas, per esempio; o come il complesso sommerso di Yonaguni che abbiamo già analizzato, scoperto solo alla fine degli anni Novanta del Novecento (che alcuni archeologi datano fra il 4.000 e l'8000 a. C., rivoluzionando tutte le nostre certezze), sembrano indicare una diversa distribuzione delle terre emerse in epoche dimenticate e, probabilmente la presenza di misteriose civiltà delle quali non sappiamo quasi nulla. Noi possiamo fare soltanto una cosa, continuare a indagare senza paraocchi e senza pregiudizi; senza quindi scartare a priori nessuna possibilità come fa l’establishment culturale in ossequio alle certezze "ufficiali" degli storici e degli archeologi.

domenica 27 marzo 2011

Bendanti: Terremoto a Roma 11 maggio 2011!



Bendandi genio o ciarlatano?
Cosa accadrà l’11 maggio 2011 a Roma?

Chi ha conosciuto Raffaele Bendandi negli ultimi anni della sua vita, lo ricorda come un vecchietto asciutto, vivace, con uno sguardo penetrante nel quale affiorava una luce sottilmente ironica. La sua passione più vera fu l'astronomia e questa disciplina gli permise di elaborare originali teorie sismologiche ed astrofisiche destinate a dargli una fama che, travalicando i confini della sua terra, lo rese noto al mondo intero.
Nella sua vita Bendandi dovette subire l'ostracismo, anzi una vera e propria censura e persecuzione da parte dell'establishment scientifico italiano dagli anni Trenta in poi. Se da una parte autorità nella materia come il celeberrimo Padre Alfani ammirarono e difesero la sua opera, dall'altra vi furono sismologi (come il prof. Agamennone) che richiesero l'intervento delle autorità e, sotto la dittatura fascista, Bendandi venne formalmente diffidato in prefettura dal pubblicare le sue ricerche e le sue previsioni.
Tuttavia la precisione delle previsioni bendandiane è sorprendente ed è talmente esatta da giustificare ricerche serie e rigorose sul fondamento delle sue teorie.
Raffaele Bendandi nato a Faenza il 1893 e morto, sempre a Faenza, in circostanze misteriose nel 1979, sosteneva di poter prevedere i terremoti. Oggi, l’8 marzo 2011 decine di siti hanno pubblicato la notizia secondo cui Bendandi avrebbe previsto due disastrosi terremoti a Roma, uno l’11 maggio 2011 e uno, ancora più distruttivo, il 5-6 aprile 2012. Ma come possiamo essere sicuri che tutto ciò si verificherà? Bendandi era davvero in grado di prevedere i movimenti tellurici? Nei suoi documenti ci sono le profezie su due terremoti romani del 2011 e del 2012?
Siamo di fronte a una sorta di genio nato il 17 ottobre 1893, figlio di un'umile famiglia, che frequentò le scuole elementari, un corso di disegno tecnico e fu apprendista da un orologiaio. Come il famoso scrittore americano H.P. Lovecraft a soli 10 anni era già esperto di astronomia e geofisica, e si era fabbricato da solo alcuni strumenti tecnologici. Bendandi per guadagnarsi da vivere scolpiva il legno. Si iscrisse a una scuola per diventare intagliatore di candelabri e di statue sacre e durante la Prima Guerra Mondiale fu meccanico in una squadriglia di idrovolanti.
Raffaele Bendandi sosteneva l’origine cosmica dei terremoti. Per analizzare le sue teorie partiamo da un video d’epoca, trasmesso in un telegiornale, in cui Bendandi, affermava: “L’origine dei terremoti secondo la mia teoria è prettamente cosmica. Secondo dati da me raccolti e controllati il sisma avviene quando nel giro mensile di una rivoluzione lunare l’azione del nostro satellite va a sommarsi a quella degli altri pianeti”. L’intervistatore domanda incuriosito: “Quindi sarebbero prevedibili i terremoti?” E Bendandi risponde in maniera precisa e chiarissima “Prevedibili esattamente”.  Bendandi spiega che, così come il mare si muove assecondando l’attrazione esercitata dalla Luna, lo stesso avviene anche per la crosta terrestre. La Luna, il Sole e gli altri pianeti del sistema solare provocherebbero per Bendandi rigonfiamenti della superficie terrestre e, quando le loro forze si sommano, scatenerebbero i movimenti tellurici. Se in questo modo è possibile individuare una data precisa, quello che rimane difficile capire è come poter individuare il luogo esatto ove questi terremoti si verificherebbero.
Nel 1920 Bendandi elaborò la teoria “sismogenica”, successivamente la sviluppò lavorando in una sorta di mini laboratorio posto in una profonda grotta dell'Appennino toscoromagnolo. Lo scienziato trasse ispirazione per la sua teoria dalle passeggiate fatte lungo la battigia, mentre era di guardia durante il servizio militare: nel 1919 ritenne che la crosta terrestre, così come le maree, è soggetta agli effetti di attrazione gravitazionale della Luna. La sua ipotesi per la previsione dei terremoti, non riconosciuta dalla comunità scientifica, anche perché egli non ne volle mai fornire un'esposizione formale, è basata sull'idea che la Luna, gli altri pianeti del sistema solare e lo stesso Sole siano la causa dei movimenti della crosta terrestre, che effettivamente si deforma e pulsa con tempi e ritmi dipendenti dalla posizione dei corpi celesti all'interno del sistema solare. Nei suoi studi Bendandi sfruttò anche una profonda grotta nella vallata del Rio Senio dell'Appennino tosco-romagnolo per avere la conferma dell'influsso planetario attraverso un inclinometro. Per rispondere alla domanda iniziale possiamo soltanto dire che in occasione del terremoto della Marsica del 13 gennaio 1915, si accorse che il 27 ottobre dell'anno precedente aveva lasciato un appunto in cui prevedeva che si sarebbe verificato. All’epoca Bendandi aveva solo 22 anni. Il 23 novembre 1923 davanti al notaio di Faenza decise di far registrare una profezia: “il 2 gennaio 1924 si verificherà un terremoto nelle Marche”. Ma sbagliò. Di soli due giorni. Il Corriere della Sera gli dedicò comunque la prima pagina, chiamandolo “colui che prevede i terremoti” e la sua fama mondiale ebbe inizio. Riportiamo qui di seguito l’intero articolo di Alvi Geminello:
BENDANDI, L' UOMO CHE ANTICIPAVA I TERREMOTI
Degli italiani potrebbe dirsi, e con molta ragione, ogni male e forse anche qualche bene, ma quanto sorprende chiunque è la maniera testarda e il genio nell' essere strani di alcuni tra loro. Come fu il Raffaele Bendandi, ottantenne volentieri incazzoso, fronte pur alta ma divisa da una papalina che gli proteggeva la calvizie dal freddo, macchie di unto ataviche sui pantalonazzi, mai in cravatta, per le mani cartigli di conti a sei cifre scritti fin nel minimo angolo di carta, e gli occhi celesti che tagliavano l' aria da sopra gli occhiali in scivolo perenne sul nasone. Era interpellato dalla Rai Tv a ogni terremoto, nel camice grigio da tipografo tutto striato dal nerofumo del cilindro sismografico, sempre affaccendato. Bendandi era un autodidatta faentino e scontroso, ma nei comunicati prevedeva il dove e il quando di universi terremoti planetari; e ci prendeva molto. Almeno quanto bastava per ricordarsi, ad ogni sommovimento, che lui l' aveva detto e andarci in pellegrinaggio proprio come nel Medioevo da un santo medievale. Anche perché il percome delle sue previsioni lui non lo spiegava mai. Eppure gli pareva elementare: la cagione dei terremoti non sia da cercarsi sotto ma sopra la terra: nelle forze di attrazione dei pianeti e del sole. Le simpatie dei corpi del sistema solare e il loro attrarre più o meno la terra nei suoi luoghi fragili o instabili spiegavano tutto. Anche la dolcezza burbera e solitaria, che commoveva il cuore, di chi non s' era fatta una famiglia e però si sentiva respirato dal Sole e dai pianeti con tenero amore. Il nostro Bendandi era nato il 17 ottobre del 1893, figlio di contadini poveri e perciò studente fino alla sesta elementare, e però dodicenne tanto geniale da costruirsi un suo telescopio. Quindi apprendista da un orologiaio, che tuttavia, per gelosia di mestiere, gli faceva fare solo il fattorino. Eppure il piccolo Raffaele imparò ad avere le dita così morbide da accomodare tutto e di notte guardava le stelle, calcolava, testardamente si persuadeva: i terremoti erano attrazioni planetarie. Licenziato s' iscrisse alla Scuola d' Arte e divenne intagliatore di candelabri e statue sacre per le chiese dell' Emilia. Dopo il terremoto di Messina si costruì anche un sismografo; e per pendolo, invece del piombo che non poteva permettersi, usò un busto di creta di Seneca impiccandolo. Ai Faentini parve matto anche se non da bendare, soprattutto quando iniziò a voler leggere tutti i giornali che costavano cinque centesimi l' uno. Gli servivano per le notizie di terremoti. Venne la Grande Guerra; si ritrovò meccanico in una squadriglia aerea. Ma poteva preoccuparsi di guerre, per quanto grandi, chi come lui s' era già meravigliato stimando avvenuta nel 10431 prima di Cristo la sommersione tellurica del continente di Atlantide? E aveva previsto inoltre un' altra fine del mondo, certissima, per la primavera del 2521. Uno così poteva badare solo ai terremoti d' influsso planetario. Ed iniziò coi suoi rudi ma efficienti apparati a far concorrenza ai sismologhi ufficiali, diramando pure comunicati «Ieri i miei strumenti alle 20.36 hanno segnalato scosse con epicentro 123 chilometri ad est di Tahiti». La stessa notizia arrivava poco dopo confermata dagli osservatori tedeschi e giapponesi. E lo stravagante ci prendeva anche, di molto prima. Al punto che se ne incuriosì il direttore Albertini, che mandò a intervistarlo un inviato. Era Otello Cavara, ufficiale aviatore con Bendandi, che, il 22 novembre 1923, davanti al notaio Savini di Faenza dichiarò che il 2 gennaio si sarebbe verificato un fenomeno sismico nelle Marche. Fu così che il 4 gennaio in terza pagina del Corriere della Sera uscì l' articolo: «L' uomo che prevede i terremoti». Tal Agamennone capo dell' osservatorio sismico di Roma aveva già ammesso il nostro nella società sismologica italiana. Ma dopo quell' articolo la scienza accademica non poté che detestarlo, ferita nella vanità da un autodidatta. Bendandi se ne incollerì, e soffrì che una sismologa di anca nervosa non lo volesse più per fidanzato. Se ne offese: smise di andare nella capitale. Nemmeno i preti gliela rimediarono. Il cardinal Maffi dell' osservatorio di Pisa non lo ricevette. «Ma domani sarete voi a chiamarmi» ... puntuale arrivò una scossa di terremoto, il giorno dopo nel Pisano. Più pratici gli americani e il libero mercato: nel 1925 Thomas Morgan della United Press stipulò regolare contratto in cambio della sua collaborazione. E Bendandi poté smettere il mestiere d' artigiano con cui aveva campato fino ad allora. Nel 1927 Mussolini lo fece nominare cavaliere dell' Ordine della Corona d' Italia, ma era innervosito dalle previsioni e gli intimò di non darne notizia. Passarono i decenni; ma che erano per chi bada alle stelle? Con Gronchi arrivò pure il titolo di Cavaliere della Repubblica e lettere grate di governanti da quasi ogni nazione della terra. Ma a lui premevano più i fogli protocollo dov' erano i tracciati e i conti di ventimila terremoti. Reticente Bendandi non badò troppo neppure al suo sindaco comunista che giudicatolo scienziato proletario gli fece intestare un milione e mezzo di lire per le ricerche. Era ottantaseienne nella modesta casa laboratorio di Via Manara 17 a Faenza a trafficare col suo rullo, quando sentì quella volta tremargli il cranio. Cadde muto; tra tavolo e stufa della camera da letto ai primi di novembre dell' anno 1979, italianissimo e grande perché «Il sito figurò colui del polo e a tutti i pianeti il luogo diede: poi rispose che quel ch' avea temuto, come predetto fu, gli era avvenuto» (Canto XLIII, Ottava 117, Orlando Furioso).
Pagina 37 (5 novembre 2004) - Corriere della Sera

Raffaele Bendandi era un autodidatta a tutto campo, le sue ricerche spaziavano dall’astronomia, alla geofisica, dalla magnetica agli studi cosmici e atmosferici, e anche della radioattività atmosferica in relazione a scopi atomici. Costruì modelli innovativi di sismografo, riuscendo a venderli in tutto il mondo. Nel 1927 fu nominato da Benito Mussolini Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia, ma successivamente gli fu proibito di pubblicare ulteriori previsioni sui terremoti in Italia, pena l’esilio. Ma riuscì ad aggirare il divieto, scrivendo i suoi articoli per i giornali americani.
Siamo nel 1931 quando Bendandi consegna all'Accademia Pontificia i risultati delle sue ricerche sul ciclo di 11 anni del Sole. In seguito pubblica a proprie spese “Un principio fondamentale dell’Universo” e nel 1959 afferma di avere scoperto un nuovo pianeta all'interno del sistema solare tra Mercurio e il Sole, dandogli il nome della sua città natale, Faenza. Poi nel 1972 l'astronomo americano Wood e nel 1976 l’inglese Smith portarono avanti le sue ricerche sulla previsione dei terremoti, e ne migliorarono l'analisi e i risultati. Avvicinandosi ai nostri giorni scopriamo che aveva previsto anche il terremoto del Friuli del 1976, aveva anche avvisato le autorità che però non gli diedero ascolto. Raffaele Bendandi fu trovato morto, in circostanze misteriose, il 3 novembre 1979 nella sua casa-osservatorio in via Manara 17 a Faenza. Il sismologo non ha mai rivelato il suo metodo di previsione, tuttavia non ha mancato di ricordare che il principio su cui basò le sue scoperte fu quello delle maree e più volte ha sottolineato il fatto che il terremoto è un fenomeno che coinvolge l'intero globo. Secondo lo studioso, fu questa mancata visione globale del fenomeno, la principale difficoltà che impedì ad altri di riuscire nelle previsioni. Il motivo per cui non rivelò il metodo di previsione era dovuto alla difficoltà di Bendandi di individuare le località degli eventi.

LE TEORIE ATLANTIDEE
Attraverso le sue ricerche tentò di spiegare la catastrofe che potrebbe aver provocato la scomparsa di Atlantide. Egli sostenne che le forze gravitazionali planetarie, sommandosi, avrebbero provocato uno spostamento del polo geografico, con conseguente spostamento del rigonfiamento equatoriale e allagamento di alcune regioni del globo. Bendandi determinò nel 10431 a.C. l'anno in cui si sarebbe verificato questo cataclisma( Epoca, anno II, n.58, del 17 novembre 1951.) Un secondo cataclisma di minori proporzioni, effetto del concorso delle forze gravitazionali di un numero minore di pianeti, si sarebbe verificato nell'anno 2687 a.C. e potrebbe corrispondere al Diluvio Universale. Egli stimò che un evento analogo a quello del 10431 a.C. si sarebbe ripetuto nella primavera del 2521 d.C.

martedì 22 marzo 2011

Nan Madol parte 4




Il viaggiatore-scrittore inglese, Oliver Sacks ha visitato l'isola di Pohnpei e le rovine di Nan Madol abbastanza recentemente e ce ne ha lasciato un’interessante descrizione.
Oliver Sacks da tempo risiede a New York dove ha uno studio neurologico, ed è divenuto famoso per i suoi libri che parlano delle storie cliniche e umane dei suoi pazienti. Fu da uno di essi, Awakenings (Risvegli), che fu tratto il film interpretato da Robin Williams e Robert De Niro. Il suo interessante viaggio alle Isole Caroline, a Guam e in altri luoghi dell'Oceano Pacifico è descritto nel libro L'isola dei senza colore (titolo originale: The Island of the Colorblind and Cycad Island. Vediamone alcuni stralci:
“Negli anni Trenta del secolo scorso, quando Darwin viaggiava sul brigantino Beagle, esplorando le Galapagos e Tahiti, e il giovane Melville sognava i suoi futuri viaggi nei Mari del Sud, James O'Connell, un marinaio irlandese, fu abbandonato su Pohnpei, un'isola vulcanica dai rilievi imponenti. Le circostanze dell'arrivo di O' Connell sono poco chiare: nelle sue memorie egli dichiarò di aver fatto naufragio con il John Bull nei pressi di Pleasant Island fino a Pohnpei, raggiungendola in soli quattro giorni. Una volta arrivati, scriveva O'Connell, lui e i suoi compagni venero attaccati dai "cannibali" e poco mancò che fossero serviti per pranzo; riuscirono però a distogliere i nativi dai loro propositi (quanto meno così credevano) con una travolgente giga irlandese. Ma le avventure di O'Connell non erano finite; fu sottoposto a un tatuaggio rituale da una giovane pohnpeiana, che risultò figlia di un capo; poi la sposò, e divenne capo egli stesso.
Quali che siano le esagerazioni di O'Connell (i marinai hanno la tendenza a raccontare storie, e alcuni studiosi lo considerano un mitomane), egli era comunque anche un osservatore attento e curioso. Egli fu il primo europeo a chiamare Pohnpei o Ponape con il nome indigeno (nella sua grafia, Bonabee); il primo a dare accurate descrizioni di molti riti e costumi pohnpeiani; il primo a redigere un glossario della lingua locale; infine, il primo ad aver visto le rovine di Nan Madol: i resti di una monumentale cultura risalente a duemila anni fa, ossi al mitologico keilahn aio ("l'altro lato di ieri"). L'esplorazione di Nan Madol fu il momento culminante dell'avventura pohnpeiana di O'Connell, egli descrisse le "stupende rovine" con minuziosa attenzione, fino al loro misterioso abbandono e al loro tramutarsi in luogo tabù. La vastità delle rovine e il silenzio profondo in cui erano immerse lo spaventarono fino a che, sopraffatto dall'atmosfera aliena che vi regnava, fu assalito dall'ardente «desiderio di tornare a casa». Egli non fece riferimento (probabilmente perché non le conosceva) alle altre culture megalitiche sparse per la Micronesia: le gigantesche rovine basaltiche di Kosrae, i megaliti taga di Tinian, le antiche terrazze di Palau e i massi da cinque tonnellate di Babel-daop, che portano scolpiti volti simili a quelli dell'isola di Pasqua. O'Connell tuttavia colse quel che né Cook né Bougainville (e per la verità nessuno dei grandi esploratori) avevano compreso, cioè che queste isole oceaniche primitive, con le loro culture apparentemente semplici ("culture della palma") furono un tempo sede di civiltà monumentali.
Andammo a Nan Madol il primo giorno che passammo interamente a Pohnpei. Situata sul versante più lontano dell'isola, Nan Madol era raggiungibile più facilmente via mare. (…)
Su tutto il pianeta non c'è nulla che somiglia a Nan Madol, questa antica costruzione megalitica (oggi abbandonata) di circa un centinaio di isole artificiali, connesse da innumerevoli canali. Non appena ci avvicinammo - ora procedendo lentamente, perché l'acqua era bassa, e i passaggi navigabili stretti - cominciammo a vedere i particolari delle mura, le enormi colonne esagonali di basalto nero, combacianti le une con le altre così bene da avere resistito alle tempeste e al mare - agli insulti devastanti di venti secoli. Scivolammo silenziosamente fra le isolette e infine approdammo sull'isola fortezza di Nan Douwas, con la recinzione di basalto alta più di otto metri, la grande cripta centrale e gli angoli destinati alla meditazione e alla preghiera.
Pieni di curiosità, e anche indolenziti dal viaggio in barca, balzammo giù in fretta e ci fermammo sotto le mura gigantesche; stupiti, ci chiedevamo come i grandi blocchi prismatici - alcuni di certo pesavano molte tonnellate - fossero stati estratti e trasportati da Sokehs (che è dalla parte opposta di Pohnpei ed è il solo luogo nelle vicinanze da cui si estragga il basalto), e poi sistemati con tanta precisione. L'impressione di potenza e di solennità era fortissima - ci sentivamo deboli, schiacciati, sotto le mura silenziose. D'altra parte, percepivamo anche l'assurdità e la megalomania che sempre si accompagnano al monumentale (le «selvagge scelleratezze della magnanimità antica»), tutte le crudeltà e le sofferenze che l'accompagnano. Il barcaiolo ci aveva raccontato dei Saudeleur, signori dissoluti che conquistarono brutalmente Pohnpei e regnarono su Nan Madol per molti secoli, esigendo tributi sempre più estenuanti in cibo e lavoro. Viste in tale luce, le mura prendevano un aspetto diverso: sembravano trasudare il sangue e le lacrime di intere generazioni. E tuttavia, come le piramidi d'Egitto e il Colosseo, avevano una nobile solennità.
Nan Madol è ancora pressoché sconosciuta al mondo esterno, quasi come quando O'Connell vi capitò 160 anni fa. Alla fine del diciannovesimo secolo, essa venne studiata da alcuni archeologi tedeschi; ma solo negli ultimi anni, grazie alla datazione al radiocarbonio, che colloca gli insediamenti umani intorno al 200 a. C., si sono ottenute conoscenze più ampie e approfondire sul luogo e la sua storia. I pohnpeiani, naturalmente, hanno sempre saputo di Nan Madol - una conoscenza incastonata nel mito e nella tradizione; ma siccome quest'ultima è piena di leggende che narrano la morte prematura di chi offese gli spiriti del luogo, essi sono restii ad avvicinarsi a Nan Madol, che rimane avvolta nella sacralità e nel tabù.
Mentre Robin ci spiegava come si svolgeva un tempo la vita nella città intorno a noi, il luogo cominciò a respirare e animarsi. Là c'erano gli attracchi per le antiche canoe, diceva Robin indicando verso Pahnwi; quello è il masso dove le donne incinte andavano a strofinarsi il ventre per assicurarsi un parto facile; là (e indicava a l'isola di Idehd) si celebrava ogni anno un rito di espiazione culminante nell'offerta di una tartaruga a Nan Somwohl, la grande anguilla marina che faceva da tramite fra gli uomini e il loro dio. Là, sui Peikapw, c'era la magica pozza d'acqua nella quale i Saudeleur vedevano tutto ciò che accadeva a Pohnpei. E laggiù il grande eroe Isohkelekel, che infine aveva sbaragliato i Saudeleur, sconvolto nel vedere riflesso nell'acqua il proprio volto decrepito si annegò: una sorta di mito di Narciso capovolto.
In definitiva, è il suo aspetto vuoto, deserto, a rendere Nan Madol tanto misteriosa. Nessuno sa quando o perché fu abbandonata. Forse la burocrazia collassò sotto il proprio peso? Fu l'avvento di Isohkelekel a metter fine al vecchio ordine, oppure gli abitanti furono falcidiati dalle malattie, dalla peste, da un cambiamento climatico, o dalla fame? O forse il livello del mare crebbe inesorabilmente fino a inghiottire le isole più basse? (Molte di esse, oggi, sono sotto il livello del mare). Si avvertiva forse un'antica maledizione, una fuga superstiziosa e incontrollata delle antiche civiltà da questi luoghi? Quando O'Connell li visitò, 160 anni fa, erano già stati abbandonati da circa due secoli. Questo mistero - l'ascesa e la caduta delle culture, le imprevedibili svolte del destino - ci rese silenziosi e riflessivi, mentre facevamo ritorno a terra…”

domenica 20 marzo 2011

Giganti....


Quanto si potrebbe scrivere su questa razza misteriosa e ancestrale.
Quanto vorrei avere il tempo di parlarvi di Pigafetta e delle sue precise annotazioni scientifiche intraprese nei viaggi con Magellano. Quanto vorrei spiegarvi perchè tutti i suoi scritti furono presi oro colato. Tutti tranne uno: quello sui giganti della Patagonia.
Quanto vorrei avere il tempo per scrivere un bel post sui Nephilim...
Ma non ne ho.
Oggi però vi parlerò dei giganti, di un tipo....


Recenti attività di esplorazione in una regione settentrionale dell'India hanno portato alla luce resti scheletrici di un essere umano di dimensioni fenomenali. La scoperta sembra sia stata fatta dall'équipe del National Geographic  con il supporto dell'esercito indiano in quanto l'area è sotto controllo militare.
Sembra, mi spiace continuare a usare quasti dubitativi, che la squadra di esplorazione abbia anche trovato delle particolari tavolette con iscrizioni che attesterebbero l'appartenenza del “Gods of Indian” a un'era antica, la mitologica “Brahma”. Secondo questi antichi scritti in quell'era vivevano i giganti.
Secono altre tavolette questi esseri sarebebro stati una razza di superuomini, sono menzionati nel Mahabharata, un poema epico, lungo circa 10 volte Odissea e Iliade messi insieme, che risale al 200 aC.
“Erano molto alti, grossi e molto potente, dei giganti che potevano mettere le braccia intorno a un tronco d'albero e sradicarlo”, dice il rapporto. Affermazioni già divulgate in un'altro studio del 2004.
Non sappiamo se ciò corrisponda a realtà.
Però eccovi le foto.



Insomma a noi paiono un pò... così... queste foto, ciò non implica certo che i Giganti non siano mai esistiti in quanto altre foto in giro per la rete sono valide e certificate come questa qui sotto:



L'importante è che ognuno pensi con la propria testa.

martedì 15 marzo 2011

Nan Madol parte 3


Pohnpei è una piccola isola poco più grande dell'isola d'Elba solo che a differenza di quest’ultima che si trova a brevissima distanza dal continente, Pohnpei è situata  in pieno Oceano Pacifico, a enormi distanze dalle terre continentali più vicine. Scoperta dai portoghesi nel 1595 passò in mano alla Spagna e alla Germania, occupata dai Giapponesi nel 1914 e  invasa dagli Stati Uniti nel corso della seconda guerra mondiale, il 22 dicembre 1990 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha posto fine alla tutela degli Stati Uniti ma le cose sono cambiate ben poco ed oggi sono un protettorato USA.  “La zona delle rovine è sorprendentemente grande, si tratta di costruzioni a colonne di basalto esagonali e ottagonali (si dice che in tutto siano 400.000), disseminate su una lunghezza di oltre 24 km.; alcune superano in grandezza e in peso i blocchi della piramide di Cheope. In passato il luogo portava il nome di Soun Nal-Leng, ossia «scogliera del cielo» e le leggende della Micronesia affermano che i masi giunsero sul posto in volo. Vi sono mura alte fino a 10 m. Costituiscono un enigma le pietre da catapulta perfettamente levigate e grandi quanto un uovo di struzzo rinvenute fra le rovine, dacché in tempi storici la catapulta non fu una macchina di guerra nota ai micronesiani. Aperture praticate nel suolo immettono in camere sotterranee. La maggior parte delle costruzioni (mura, strade, canali) giace sommersa nel mare che le circonda; quindi è possibile che Nan Madol rappresenti le vestigia di una cultura del Mari del Sud, scomparsa per una catastrofica inondazione e della quale ignoriamo sia l'epoca che l'origine.  Dalle prove col metodo C 14 le costruzioni e risalirebbero al 1180 d. C., ma è una data che sembra troppo recente per questa straordinaria, deserta città di pietra dove i micronesiani odierni non osano inoltrarsi per timore degli spiriti. Nelle loro leggende spesso figurano dei protagonisti giganti (kauna) e nani  preistorici che vivevano sotto terra, nonché un drago esperto di magia che aveva collocato alloro posto i blocchi facendoli volare. Strana è la notizia diffusa dai giapponesi prima del 1939, i quali assicuravano di aver trovato tesori sommersi nelle acque dell'arcipelago Platin. (…) Nan Madol significa a un dipresso «luogo dello spazio», un termine ambiguo che potrebbe significare molte cose.” Così il ricercatore tedesco Ulrich Dopatka descrive il sito di Nan Madol nel Dizionario UFO, Sperling & Kupfer, Milano, 1980. Nelle leggende dei nativi c’è uno strano episodio in cui l’isola viene occupata da “uomini con la pelle così dura che li si sarebbe potuti ferire soltanto colpendoli agli occhi”. Si tratta del ricordo di scontri con i portoghesi che nel 1595 incrociavano in queste acque? La “pelle dura” di cui parlano gli isolani era l’armatura europea? O c’è altro?  Oggi sappiamo che le rovine megalitiche di Nan Madol sono state edificate per lo meno alcuni alcuni secoli prima dell'era cristiana. Cosa che infittisce il velo di mistero che circonda il sito archeologico di Pohnpei, a dispetto dell’establishment precostituito. Alcuni ricercatori sostengono di aver individuato, grazie anche all’aiuto degli isolani, una complicata rete di gallerie sottomarine che, partendo dal porto di Nan Madol collegano tra loro le vare isole dell'arcipelago e che condurrebbero ad altre due antiche città ormai sommerse, costruite eoni orsono dagli dei, con l'aiuto di una magia in grado di sollevare in aria le grandi pietre. (cfr. Valerio Zecchini, Atlantide e Mu, Demetre Editrice, 1998).

giovedì 10 marzo 2011

Nan Madol parte 2


Stiamo parlando di uno dei misteri più affascinanti del mondo. La città perduta di Nan Madol che si trova a poca distanza dalla remota isola micronesiana di Pohnpei. Nan Madol dunque, la città costruita sulla barriera corallina, la città di 11 miglia quadrate, la città dalle centinaia di isolette artificiali che qualcuno ha eretto nell’Oceano Pacifico. La città del grande sistema di canali in un luogo dove secondo tutti l’uomo sarebbe dovuto essere un selvaggio, proprio qui dove tunnel sommersi collegano le isolette. Nan Madol costruita con basalto, Nan Madol costituita da oltre 250 milioni di tonnellate di roccia basaltica!
Come è avvenuto? Alcune prove archeologiche sembrano indicare che la città dovesse essere stata eretta nel 200 prima di Cristo. Ma come? Non ci sono spiegazioni logiche. Non ci sono rocce basaltiche nelle vicinanze. L’unica cosa che getta un po’ di luce, ancora più misteriosa, sono alcune leggende locali che vogliono che, come all’Isola di Pasqua, pardon Rapa Nui, le rocce si muovevano nell’aria come per magia e formarono la città.
L’isola più vicina si chiama 'Pohn-pei' che significa letteralmente "sull'altare" e 'Nan-Madol' significa “gli spazi in mezzo” indicando probabilmente i canali o gli spazzi in mezzo alle isole artificiali. Ma torniamo per un attimo alle pietre di basalto la cui origine rimane un mistero. Abbiamo già detto che nei dintorni non se ne trovano ma non abbiamo detto che la forma esagonale delle stesse è naturale e non sono state forgiate dall’uomo. Ma soprattutto come sono giunte sin lì? Come sono arrivate, viste le loro enormi dimensioni e il loro notevole peso, sulla barriera corallina di Nan Madol? Come hanno fatto tutto questo senza l’ausilio di macchinari? Come hanno scavato i canali nella barriera corallina con questa precisione astronomica? Chi lo ha fatto?
L’architettura di Nan Madol non è sfarzosa ma essenziale eppure si narrà di numerosi incredibili tesori che sono stati trovati qui.
Prima dell’avvento della Seconda Guerra Mondiale erano i giapponesi a governare questa strana isola. Il popolo del sol levante indagò a lungo, perfino sulla leggenda che voleva che i cadaveri riposassero nella “Casa della Morte”, e fecero molte ispezioni subacquee finchè non scoprirono una struttura sottomarina che conteneva sarcofagi stagni fatti di puro platino. Le cronache indicano che tutti furono presi dai giapponesi e che se qualcuno di questi esistesse ancora non sarebbe certo visibile a tutti. In ogni caso la città è impressionante. Per far comprendere appieno di cosa stiamo parlando vi rammento che il peso medio di un masso della Grande Piramide di Giza pesa circa 3 tonnellate. A Nan Madol abbiamo 250 milioni di tonnellate di basalto!
La cosa chef a più impressione è anche che nella zona gli abitanti odierni vivono in capanne o in rifugi che nulla hanno a che vedere con le antichissime strutture di pietra. Cosa ha provocato questa regressione tecnologica della zona?
Purtroppo non ci sono prove scritte che possano aiutarci a scoprire chi ha costruito la città, quando fu eretta, come fu edificata e neppure perchè lo sia stata proprio in una zona così solitaria dell’Oceano Pacifico e della Terra in generale. Gli archeologi hanno scoperto ossa umane che appartenevano a persone molto più alte dei micronesiani odierni. Sono state ritrovate anche ceramiche che sono state datate come create oltre 2000 anni fa con il sistema della termoluminescenza. Inoltre proprio da poco tempo, quasi a voler infittire ancor di più le acque, è stata scoperta a poca distanza un’altra città sommersa: Madolynym.

domenica 6 marzo 2011

Nan Madol parte 1



E Dopo Yonaguni non potevamo non parlare di Nan Madol, straordinario sito archeologico dell'Oceano Pacifico che, insieme ad altri rappresenta, uno dei più grandi misteri della nostra storia. Ma al contempo una notevole fonte di disturbo per l’establishment scientifico, il quale non riuscendo ad incanalarlo nei suoi binari predefiniti, preferisce continuare a ignorarlo.
Ne aveva parlato, probabilmente per primo, anche quello strano scrittore-veggente che era H.P. Lovecraft. Isola di Pohnpei, in precedenza chiamata Ponapé, nell’arcipelago delle Isole Caroline nella Micronesia. Ma secondo gli storici e gli archeologi ufficiali  in quella zona non avrebbe dovuto prosperare alcuna civiltà capace di erigere monumenti di tal fatta. Già perché siamo di fronte a un complesso monumentale straordinario, paragonabile forse soltanto all’enigma dei Moai di Rapanui.
Chissà perché la storia di Nan Madol è poco nota perfino fra i patiti del mistero, quelli sempre pronti a tirare in ballo l'eredità di Atlantide, e magari l'intervento degli extraterrestri, ogni volta che ci s'imbatte in un elemento anomalo rispetto alle nostre conoscenze. Sfogliando l’Atlante dei Misteri di Francis Hitching, l’Enciclopedia del Soprannaturale di Richard Cavendish e l’Atlante dei luoghi misteriosi di Jennifer Westwood non ne troviamo traccia. Come se quelle enormi costruzioni semisepolte nella giungla e giacenti sotto il mare, semplicemente non esistessero.
Eppure uno dei primi a occuparsene è stato, alla fine dell'Ottocento il colonnello britannico James Churchward, convinto sostenitore dell’esistenza di Mu (un grande continente perduto) e controverso studioso delle cosiddette tavolette Naaacal, trovate in alcune località dell'India e, poi in Messico, scritte in un linguaggio sconosciuto e che lui, grazie all’aiuto di un saggio asiatico, sarebbe riuscito a decifrare, ricavandone informazioni sconcertanti sulla storia dell'umanità.
In futuro esporremo le teorie di Churchward, che mai fu preso sul serio dagli archeologi professionisti. Per ora chi fosse interessato ad approfondire l'argomento, può leggere i suoi libri, tradotti, malamente in lingua italiana. Qui accenniamo soltanto che secondo Churchward, il continente di Mu, situato nella parte centro-meridionale del Pacifico, sarebbe stato la sede di un Impero del Sole, che diede origine a tutte le antiche civiltà del pianeta, prima di essere distrutto.
Mu, al momento del suo massimo splendore, avrebbe avuto una popolazione di 64 milioni di abitanti, una fauna di grandi animali, tra i quali il mastodonte, progenitore dei nostri elefanti. Continente con un clima sub-tropicale, formato da foreste e praterie, e sarebbe stato abitato da dieci diverse razze umane. Da una di queste stirpi originarie sarebbero discesi gli ariani, simili a noi, ma di statura un po’ più alta. L’ultima catastrofe che distrusse Mu, c’è ne erano state almeno due di cui una in tempi immemorabili che avrebbe spezzato il grande continente, frantumandolo in una serie di isole minori, sarebbe avvenuta circa 12 mila anni fa, e avrebbe spazzato via anche quasi tutte le isole. Secono Churchward Nan Madol è uno dei numerosi tasselli del mosaico che fa emergere i resti dello scomparso continente di Mu, insieme a le due enormi colonne, sormontate da un arco, dell'atollo corallino di Tonga-Tabu; le piramidi delle isole di Guam, di Tinian e dell'isola Swallow; le ciclopiche muraglie delle isole di Lele e di Kusai (sempre nelle Isole Caroline); le muraglie delle Isole Samoa; le colonne di pietra, a forma di tronco di piramide, delle Marianne; la grande rovina sulla collina di Kuku,a 30 miglia da Hilo, nell'arcipelago delle Hawaii; i reperti delle isole Marchesi, nella Polinesia orientale, l’isola di Rapanui e altre. Ecco allora, leggiamo direttamente dalla penna di Churchward qualcosa su quest’isola misteriosa: “Qui si trova ciò che considero il reperto più importante tra quelli rinvenuti in tutta l'area dei Mari del Sud. Si tratta delle rovine di un grande tempio, una struttura che misura  90 metri di lunghezza e 18 di larghezza, con mura che nel 1874 erano alte nove metri e che a livello del suolo presentavano uno spessore di un metro e mezzo. Sulle pareti sono tuttora visibili sono tuttora visibili i resti di alcune incisioni che rappresentano molti simboli sacri di Mu.
L'edificio presentava canali e fossati, sotterranei, passaggi e piattaforme, il tutto costruito in pietra basaltica. Sotto il pavimento di forma quadrangolare vi erano due passaggi di circa nove metri quadrati, posti l'uno di fronte all'altro, che conducevano a un canale. Al centro della vasta superficie quadrangolare si trovava la stanza piramidale, senza dubbio il sancta sanctorum.
Secondo le leggende indigene, molte generazioni fa, il tempio venne occupato dai superstiti di una nave pirata che aveva fatto naufragio. Resti umani si trovano tuttora in uno dei sotterrane che i fuorilegge avevano usato come magazzino.
Nessun nativo si avvicina volentieri alle rovine, che hanno fama di essere infestate da spiriti malvagi e fantasmi chiamati mauli.
A Ponape vi sono anche altri reperti, alcuni adiacenti alla costa, altri sulla sommità delle colline, alcuni addirittura in radure al centro dell'isola; tutti però sono accomunati dal fatto di essere stati eretti in zone da cui era possibile vedere l'oceano. In una radura c'è un cumulo di pietre, che occupa una superficie di cinque o sei acri e che pare essere collocato su una base sopraelevata; intorno ad esso si notano i resti di ciò che un tempo poteva essere un fossato o un canale.
Ai quattro angoli delle rovine, che corrispondono ai punti cardinali, i mucchi di pietre sono più alti, dal che si desume che l'edificio aveva presumibilmente forma quadrata.
Personalmente ritengo che i resti di Ponape appartengano a una delle città principali della Madrepatria, forse una delle Sette Città sacre. È impossibile stimarne la popolazione, di certo era una città di grandi dimensioni, forse abitata da centomila persone.”
The Lost Continent of Mu, 1926